Visita agli Himba.
Il nostro primo incontro con gli Himba è avvenuto ad Opuwo, l’ultima città sulla strada per Epupa Falls, nei successivi 180 kilometri non si incontra nemmeno un distributore di benzina. In questa città che sembra l’incrocio tra un “paesone” occidentale con un grande villaggio africano, si incontrano turisti, africani occidentalizzati che lavorano nel turismo ed africani appartenenti a tribù povere, tra cui gli Himba, ognuno coi suoi costumi tipici. Nel supermercato alimentare abbiamo incontrato alcune donne Himba, che facevano spese, spesso acompagnate da un dipendente del supermercato che illustrava le merci esposte sugli scaffali, perché gran parte degli articoli per loro erano sconosciuti.
Mentre aspettavamo il turno per riempire il serbatoio di benzina, un giovane signore in pochi minuti ci ha lavato l’automobile con spugna e secchio dell’acqua, quindi abbiamo raggiunto la località di Epupa Falls. Nonostante fossimo preparati alla visita ed avessimo studiato le particolari abitudini di questo popolo, i piccoli villaggi degli Himba, costituiti da capanne di fango, isolati dal mondo, sono riusciti davvero a sorprenderci.
La visita al primo villaggio, è durata una mattinata. Eravamo accompagnati da una guida locale, che ci ha parlato estesamente delle loro usanze e poi ha fatto da interprete sia con il capovillaggio che con le donne presenti (gli altri uomini erano tutti a pascolare le capre). Sostavamo di fronte ad ogni capanna, comunicando a gesti o con l’aiuto dell’interprete con ognuna di loro, poi siamo stati invitati ad entrare nella capanna del capo, uguale alle altre, soltanto un po’ più grande, ma senza alcuna suppellettile. Gli Himba conservano usi e costumi di tipo preistorico e rifiutano le usanze del mondo moderno; la loro occupazione è l’allevamento delle capre per avere il latte, che costituisce col mais l’elemento base per l’alimentazione; non gradiscono ricevere denaro, ma apprezzano molto un dono di cibarie… e noi non ci siamo lasciati soprendere. Il capovillaggio è l’unica autorità riconosciuta da tutti, conserva il cerchio col fuoco sacro che non deve spegnersi mai perché è da lì che tutto il villaggio attinge il fuoco per gli usi domestici. Le donne, sfoggiano vezzosamente la loro nudità molto curata, coperta solo da un perizoma e da una gran quantità di monili che identificano età, stato sociale, numero di figli. Le donne non si lavano mai, perché l’acqua è un bene troppo prezioso, ma tengono in gran conto il proprio aspetto. Per mantenere l’igiene, si cospargono di fumo e si spalmano due o tre volte al giorno un impasto di ocra rossastra su tutto il corpo; agli uomini, che girano un poco più vestiti, è consentito lavarsi, ma solo in occasioni speciali. Nonostante a noi appaiano molto poveri, sono ben nutriti, sereni e sorprendentemente curiosi nei nostri riguardi.
Il giorno successivo a pochi chilometri da Epupa Falls abbiamo incontrato un gruppo di scolari di 8-12 anni che si spostavano da un villaggio all’altro per raggiungere la scuola. Nonostante apparissero più evoluti di altri, questi ragazzini, mantenevano alcune caratteristiche tribali come le pettinature e tutti, tranne uno, anche l’abbigliamento con la sola aggiunta di un drappo per proteggersi dal freddo del mattino. Quando ci siamo fermati con l’auto ci hanno circondati, erano allegri e sembrava che la nostra presenza fosse per loro una fortuna insperata; ognuno di loro ha voluto mostrarci il suo quaderno, orgoglioso dei propri elaborati; siamo rimasti quasi un’ora a conversare e nonostante utilizzassero poche semplici parole di inglese, avevano una enorme capacità comunicativa. Appena li abbiamo lasciati si sono messi a correre per raggiungere la scuola e recuperare il tempo trascorso con noi.
Pochi chilometri dopo ci siamo imbattuti in un villaggio ancora più povero del precedente, ma l’accoglienza del capovillaggio è stata molto cordiale, ci ha spiegato a gesti di avere alcuni parenti molto malati, ricoverati nella sua capanna. Si trattava di bronchiti febbrili per cui ho distribuito degli antipiretici e dei sulfamidici, usando le dita per definire i dosaggi ed indicando la posizione del sole nel cielo per stabilire l’orario a cui assumerli. Qui, non avevamo un interprete, e per la conversazione abbiamo utilizzato un rudimentale dizionarietto italiano-himba. Dopo la distribuzione della medicina, siamo stati guardati con molto rispetto, perché i medici sono considerati degli sciamani, ancora più potenti del capovillaggio. Abbiamo fatto anche qui il giro delle capanne, ed al momento di partire alcune mamme del villaggio, sorridenti, con i loro piccoli in braccio ci hanno seguiti fino all’auto per chiederci di lasciare altre medicine, che credevano potessero essere una panacea per i loro figli, peraltro sanissimi.
Abbiamo sperimentato un contatto con questa popolazione che mantiene con serenità le sue tradizioni anacronistiche, vive senza ripensamenti in condizioni di povertà estrema pur essendo a contatto con altre etnie che invece hanno assorbito, almeno in parte, la cultura contemporanea: è stata l’esperienza più toccante e indimenticabile dello splendido viaggio in Namibia.
Il nostro primo incontro con gli Himba è avvenuto ad Opuwo, l’ultima città sulla strada per Epupa Falls, nei successivi 180 kilometri non si incontra nemmeno un distributore di benzina. In questa città che sembra l’incrocio tra un “paesone” occidentale con un grande villaggio africano, si incontrano turisti, africani occidentalizzati che lavorano nel turismo ed africani appartenenti a tribù povere, tra cui gli Himba, ognuno coi suoi costumi tipici. Nel supermercato alimentare abbiamo incontrato alcune donne Himba, che facevano spese, spesso acompagnate da un dipendente del supermercato che illustrava le merci esposte sugli scaffali, perché gran parte degli articoli per loro erano sconosciuti.
Mentre aspettavamo il turno per riempire il serbatoio di benzina, un giovane signore in pochi minuti ci ha lavato l’automobile con spugna e secchio dell’acqua, quindi abbiamo raggiunto la località di Epupa Falls. Nonostante fossimo preparati alla visita ed avessimo studiato le particolari abitudini di questo popolo, i piccoli villaggi degli Himba, costituiti da capanne di fango, isolati dal mondo, sono riusciti davvero a sorprenderci.
La visita al primo villaggio, è durata una mattinata. Eravamo accompagnati da una guida locale, che ci ha parlato estesamente delle loro usanze e poi ha fatto da interprete sia con il capovillaggio che con le donne presenti (gli altri uomini erano tutti a pascolare le capre). Sostavamo di fronte ad ogni capanna, comunicando a gesti o con l’aiuto dell’interprete con ognuna di loro, poi siamo stati invitati ad entrare nella capanna del capo, uguale alle altre, soltanto un po’ più grande, ma senza alcuna suppellettile. Gli Himba conservano usi e costumi di tipo preistorico e rifiutano le usanze del mondo moderno; la loro occupazione è l’allevamento delle capre per avere il latte, che costituisce col mais l’elemento base per l’alimentazione; non gradiscono ricevere denaro, ma apprezzano molto un dono di cibarie… e noi non ci siamo lasciati soprendere. Il capovillaggio è l’unica autorità riconosciuta da tutti, conserva il cerchio col fuoco sacro che non deve spegnersi mai perché è da lì che tutto il villaggio attinge il fuoco per gli usi domestici. Le donne, sfoggiano vezzosamente la loro nudità molto curata, coperta solo da un perizoma e da una gran quantità di monili che identificano età, stato sociale, numero di figli. Le donne non si lavano mai, perché l’acqua è un bene troppo prezioso, ma tengono in gran conto il proprio aspetto. Per mantenere l’igiene, si cospargono di fumo e si spalmano due o tre volte al giorno un impasto di ocra rossastra su tutto il corpo; agli uomini, che girano un poco più vestiti, è consentito lavarsi, ma solo in occasioni speciali. Nonostante a noi appaiano molto poveri, sono ben nutriti, sereni e sorprendentemente curiosi nei nostri riguardi.
Il giorno successivo a pochi chilometri da Epupa Falls abbiamo incontrato un gruppo di scolari di 8-12 anni che si spostavano da un villaggio all’altro per raggiungere la scuola. Nonostante apparissero più evoluti di altri, questi ragazzini, mantenevano alcune caratteristiche tribali come le pettinature e tutti, tranne uno, anche l’abbigliamento con la sola aggiunta di un drappo per proteggersi dal freddo del mattino. Quando ci siamo fermati con l’auto ci hanno circondati, erano allegri e sembrava che la nostra presenza fosse per loro una fortuna insperata; ognuno di loro ha voluto mostrarci il suo quaderno, orgoglioso dei propri elaborati; siamo rimasti quasi un’ora a conversare e nonostante utilizzassero poche semplici parole di inglese, avevano una enorme capacità comunicativa. Appena li abbiamo lasciati si sono messi a correre per raggiungere la scuola e recuperare il tempo trascorso con noi.
Pochi chilometri dopo ci siamo imbattuti in un villaggio ancora più povero del precedente, ma l’accoglienza del capovillaggio è stata molto cordiale, ci ha spiegato a gesti di avere alcuni parenti molto malati, ricoverati nella sua capanna. Si trattava di bronchiti febbrili per cui ho distribuito degli antipiretici e dei sulfamidici, usando le dita per definire i dosaggi ed indicando la posizione del sole nel cielo per stabilire l’orario a cui assumerli. Qui, non avevamo un interprete, e per la conversazione abbiamo utilizzato un rudimentale dizionarietto italiano-himba. Dopo la distribuzione della medicina, siamo stati guardati con molto rispetto, perché i medici sono considerati degli sciamani, ancora più potenti del capovillaggio. Abbiamo fatto anche qui il giro delle capanne, ed al momento di partire alcune mamme del villaggio, sorridenti, con i loro piccoli in braccio ci hanno seguiti fino all’auto per chiederci di lasciare altre medicine, che credevano potessero essere una panacea per i loro figli, peraltro sanissimi.
Abbiamo sperimentato un contatto con questa popolazione che mantiene con serenità le sue tradizioni anacronistiche, vive senza ripensamenti in condizioni di povertà estrema pur essendo a contatto con altre etnie che invece hanno assorbito, almeno in parte, la cultura contemporanea: è stata l’esperienza più toccante e indimenticabile dello splendido viaggio in Namibia.